La legge di Mino Raiola: “Ibra al Milan è come l’addio dei Queen”

30 DICEMBRE 2019

Pogba, De Ligt, Kean, Balotelli e l’ultimo afare con Haaland: parla il re del mercato. “Certi tifosi mi odiano? Dovrebbero chiedermi scusa per Donnarumma”

DAL NOSTRO INVIATO EMANUELE GAMBA

Montecarlo – Alle pareti dell’ufficio di Mino Raiola in Boulevard d’Italie ci sono le locandine dei film di 007 («Il mio mito») e le maglie dei giocatori della sua corte. «Ma quale corte: è la mia famiglia». Raiola s’entusiasma a raccontare di quando, a vent’anni, esportava bulbi, studiava legge, faceva gavetta come ds all’Haarlem e lavorava nel ristorante di famiglia, «dove ho imparato a capire le persone». Trent’anni dopo è così ricco che nemmeno lui sa quanto, e spesso il pianeta calcio gli orbita attorno. Sulla maglia di Moise Kean c’è una dedica: “a Mino, che mi farà diventare una star”.

Raiola, non è che invece Ibrahimovic è una stella cadente?
«Zlatan è tornato per divertirsi e per far divertire il mondo. Non potevo permettere che il suo ultimo palcoscenico fosse Los Angeles. Questi sei mesi saranno come l’ultima tournée dei Queen, un lungo tributo: bisognava farlo a San Siro».

Chi ha convinto chi, stavolta?
«Abbiamo litigato a ogni trasferimento. Se fossi ignorante, penserei che sono sempre stato io a decidere le sue squadre, invece a 52 anni credo di aver capito che lui decide e poi mi fa credere che la decisione l’ho presa io».

La serie A sta diventando il cimitero degli elefanti?
«Il caso di Zlatan è diverso, lui viene solo per sei mesi, poi vediamo. Però vi ho portato De Ligt, che volevano tutti. Tutti. Ma lui vuole diventare il miglior difensore al mondo e allora mi fa: “Mino, io devo andare all’Harvard della difesa, al Mit dei difensori”. Perciò abbiamo scelto la Juve: per prendere la laurea».

Non per la commissione che prende lei?
«La mia commissione dipende dallo stipendio del giocatore, e vale per tutti. Non punto la pistola alla tempia di nessuno».

Haaland non l’ha portato a studiare da noi.
«No, perché non è un difensore e perché non è De Ligt, che è capitano dell’Olanda da due anni. Gli italiani non sanno valorizzare i propri talenti, figurati quelli degli altri. A me capita di incontrare osservatori italiani che gridano al miracolo se vedono un 2001 forte. Allora gli dico: “ma che ve ne fate, se poi non lo fate giocare”».

Non mette tristezza la Juve che vende Kean?
«Tanta, anche a me. Non l’avrei portato in Premier se non parlasse perfettamente inglese, perché è ben raro che un ragazzo italiano si adatti all’estero: chiediamoci perché Spagna e Francia continuano a esportare giocatori e noi no. Ma se l’avessi lasciato alla Juve me l’avrebbero fatto giocare in serie C».

All’Everton però fa la riserva.
«Di lui non sono contenti, ma stracontenti. Sanno che c’è solo bisogno di tempo, perché in Premier i valori tecnici e fisici sono più alti e la serie A non ti prepara abbastanza. In questo senso Kean è come Balotelli, un talento talmente precoce che ha saltato delle fasi di crescita che però deve recuperare, perché ha delle lacune. Ho sulla scrivania una pila di richieste per lui, ma l’Everton non ha nessuna  

intenzione di venderlo né lui di andarsene».

Perché molti dei suoi giocatori sono arroganti? Li educa lei a esserlo?
«Sono ambiziosi, che è diverso. Matuidi vi sembra arrogante? Nedved, se fosse stato arrogante, non avrebbe vinto un Pallone d’oro ma tre. E il problema di Balotelli è proprio la mancanza di arroganza, difatti è contento della sua carriera ed è l’unico a esserlo. Zlatan sì, è arrogante, infatti ho dovuto togliergli l’olandese che aveva dentro e metterci un italiano. “Ci penso io”, mi disse Capello, e Ibra ha imparato a fare gol. Gli olandesi sono un popolo straordinario, geniale, ma nel calcio loro sì, diventano arroganti. Pensate a Van Gaal. Infatti mi diverto a rinfacciargli i Mondiali vinti dall’Italia».

Pogba non era arrogante quando diceva di voler diventare meglio di Pelé?
«Per lui litigai con Ferguson: Paul fu l’unico a dirgli di no, non l’ha mai digerito e se la prese con me. Ma adesso il problema di Pogba è il Manchester: è un club fuori dalla realtà, senza un progetto sportivo. Oggi non porterei più nessuno là, rovinerebbero anche Maradona, Pelé e Maldini. Paul ha bisogno di una squadra e di una società, una come la prima Juve».

Alla fine i suoi assistiti finiscono per somigliarle?
«Io sono un procuratore tailor made. Sono fatto su misura per i giocatori che assisto, perché diventano la mia famiglia. C’è chi mi chiama tre volte al giorno come Ibra e tre volte l’anno come Matuidi, ma lavoro solo con quelli con cui c’è affinità».

Non l’ha mai scaricata nessuno?
«Diciamo che con Lukaku la separazione è stata consensuale».

Dicono: Raiola condiziona il mercato.
«Certo che sì. Io non voglio ritrovarmi il 29 agosto a decidere cosa fare».

E le commissioni, il mercato non lo drogano?
«Il punto è: guadagno molto o guadagno troppo? Io sono d’accordo sul molto. Oggi un grande club vale 4 miliardi, è tutto commisurato. I soldi fanno parte dello show. E comunque non sono i soldi a motivarmi, io ero già milionario a vent’anni, potevo sdraiarmi su una spiaggia e vivere di rendita. È la Fifa che per nascondere i suoi problemi non fa che attaccare i procuratori».

E vuole imporre tetti alle commissioni.
«Se non serviamo, perché i club non fanno da sé? Non sono i soldi che inseguono i sogni, ma viceversa. Mio padre mi diceva sempre che vendere una cosa a qualcuno una volta è facile, ma due volte è difficile. E come mai da me ricomprano sempre tutti? Sarà che non tiro bidoni?».

Non sarà che fa comunella coi ds?
«Se il mio avvocato facesse comunella con il pm, lo scaricherei subito. Mia nonna era analfabeta, ma mi ha sempre detto che non si può stare con Dio e con il diavolo. Io rifiuto anche gli incarichi di mediazione, tratto solo i trasferimenti dei miei che devono scegliermi per fiducia e non perché hanno paura, come invece facevano quelli che andavano alla Gea, convinti che se non lo avessero fatto sarebbero usciti dal giro. Il procuratore è come il medico di famiglia: se non ti fidi, è meglio che lo cambi. E poi non assisto allenatori: voglio avere la libertà di mandarli affanculo».

Coi colleghi come va?
«Con quelli che meritano di essere definiti tali, e non sono molti, ho un rapporto normale. Certo, ho i miei metodi. Non cerco di avere il controllo sui club e mantengo la mia dimensione: qui siamo in quattro, siamo una bottega artigianale e tale vogliamo rimanere. Con i miei ragazzi non ho bisogno di contratti, ma di feeling. E se vogliono, gli gestisco la vita intera, anche perché sanno che i loro segreti verranno con me nella tomba».

Raiola c’è sempre?
«Una volta uno mi ha telefonato alle due di notte: “Mino, mi sta bruciando casa”. Gli ho detto: “grazie di aver pensato a me, ma forse è meglio se chiami i pompieri, e intanto spostati di lì”. E lui: “grazie Mino, buon consiglio”. Tra loro i giocatori si parlano, io funziono con il passaparola. Difatti non vado a cercare nessuno, sono loro che vengono da me».

Lei va alle trattative in pantaloncini corti e maglietta: fa parte del personaggio?
«Mia mamma mi diceva: “Mino, conciati a modo”. Ma io con i vestiti non sto bene, sono a disagio. All’inizio mi guardavano come uno scemo, però poi ho capito che era anche meglio: se ti presenti vestito male ti sottovalutano, e in una trattativa è un gran vantaggio. L’unico che ha avuto qualcosa da dire è stato Braida, ma lui è un damerino. O gli avvocati della Fifa, a cui ho spiegato che la decenza non si vede dal vestito. E loro lo dimostrano».

Perché ce l’ha così tanto con la Fifa?
«È monopolista. È un centro di potere che non pensa al bene del calcio ma solo ai suoi interessi. Ma fa danni anche il Financial Fair Play».

Perché?
«In Italia abbiamo ormai un mercato a parte che finisce il 30 giugno, quando i club devono fare acrobazie strane per mettersi in regola con i conti: ma che senso ha? E che senso ha vietare a un club di fare acquisti? È una limitazione della libertà individuale: perché un mio calciatore non può andare al Chelsea, rimettendoci un sacco di soldi? Capitasse a un mio assistito farei causa, scatenerei un effetto mondiale».

Non parla per interesse? A voi fa comodo che girino tanti soldi.
«Con l’affare Pogba ho cambiato il mercato, i prezzi sono impazziti. Ma non ho sentito un solo club lamentarsene».

E di lei, si lamentano?
«Se parlano troppo bene di me, vuol dire che qualcosa ho sbagliato».

Certi tifosi la odiano, dicono che lei non ha rispetto per le bandiere, ma solo per gli affari.
«Dovrebbero chiedermi scusa per Donnarumma: Mino, avevi ragione tu. Volevo portarlo via perché non mi fidavo di quel Milan, come non mi fidavo dell’Inter di Thohir, e ditemi se non avevo ragione. Sarò poco romantico e politicamente scorretto, ma il mio scopo è massimizzare la carriera dei miei giocatori. Mi chiedo sempre: “cosa farei se fosse mio figlio?” I soldi sono solo l’ultimo step».

Anche per lei?
«A me non interessano».

Milan, una storia lunga 120 anni | GQ Italia

Era il 16 dicembre 1899 e in una saletta dell’Hotel du Nord nasceva il Milan Football & Cricket Club, squadra sportiva voluta da un imprenditore inglese di nome Herbert Kilpin, che voleva trapiantare a Milano la tradizione calcistica già molto diffusa in Inghilterra. Un uomo dalle idee chiare, che al momento della fondazione (la prima sede fu presso la fiaschetteria toscana di via Berchet) scrisse sullo statuto: «Saremo una squadra di diavoli. I nostri colori saranno il rosso come il fuoco e il nero come la paura che incuteremo agli avversari».

L’inizio fu promettente, con il primo scudetto nel 1901 che interruppe quella che fino ad allora era stata l’egemonia del Genoa. Dopo i successi del 1906 e del 1907 iniziò un digiuno durato ben 44 anni. Nel frattempo, il Milan trovò casa, lasciando l’Arena e trasferendosi nel 1926 nel nuovo stadio di San Siro, sorto per volontà dell’allora presidente Piero Pirelli. Il goleador dell’epoca fu Aldo Boffi, ma in quel Milan di metà ‘900 ci fu spazio anche per un certo Giuseppe Meazza (detto «Peppino»), che dopo una lunga carriera all’Inter passò agli storici rivali cittadini.

La luce tornò a splendere sulla Milano rossonera negli anni ’50, e il merito fu di un trio svedese, il famoso «Gre-No-Li», formato da Gren, Nordahl e Liedholm.

Lo svedese Nils Liedholm in una foto del 1958

Con loro in squadra, il Milan conquistò lo scudetto nel 1950-51 e altri tre titoli tra il ’54 e il ’59 (era il Milan di Schiaffino, Cesare Maldini e del capitano Liedholm), per poi lasciare spazio, nel decennio successivo, alle giocate di Rivera e Altafini, una squadra capace di dominare in Italia e in Europa sotto la sapiente guida del «paron» Nereo Rocco. Nel 1963 arrivò la prima Coppa dei Campioni superando il Benfica di Eusebio nella finale di Wembley, successo bissato nel ’69 nella storica finale di Madrid contro l’Ajax di Cruijff, battuto per 4-1 con la storica tripletta di Pierino Prati e il gol di Sormani, guidati dalla regia illuminante di Gianni Rivera, capitano e leader di quella squadra. Quell’anno il Milan si aggiudicò anche la Coppa Intercontinentale nella doppia finale contro gli argentini dell’Estudiantes, un successo che permise a Rivera di vincere il Pallone d’Oro, primo italiano nella storia.

Cesare Maldini e Nereo Rocco con la prima Coppa dei Campioni, conquistata a Wembley nel ’63 (Evening Standard)

La svolta successiva nel 1986, quando nella storia rossonera irruppe Silvio Berlusconi, che salvò il Milan (reduce da due retrocessioni in Serie B) dal fallimento in tribunale e lo riportò in alto: «Dovremo imporre il nostro gioco, e vincere in Italia, in Europa e nel Mondo», disse appena arrivato, e in tanti sorrisero pensando che il sogno fosse irrealizzabile.

Gullit e Maradona, simboli della rivalità tra Milan e Napoli a cavallo degli anni ’90 (Getty Images)

Così non fu, perché a Milano, sotto la guida di un profondo innovatore come Arrigo Sacchi, il trio degli olandesi Gullit-Van Basten-Rijkaard, insieme a colonne come Baresi, Maldini, Ancelotti e Donadoni diede vita a un ciclo rivoluzionario e irripetibile, che portò il Milan alla conquista di tutto ciò che poteva vincere. La Coppa dei Campioni del 1988 ne fu il simbolo, con 90 mila milanisti che riempirono il Camp Nou di Barcellona per assistere allo spettacolare 4-0 sulla Steaua Bucarest.

Il Milan festeggia la conquista della Coppa Campioni contro la Steaua Bucarest ( Peter Robinson-EMPICS)

Con Capello in panchina, poi, nacque il mito degli «Invincibili», quelli che scrissero il record delle 58 gare in Serie A senza perdere mai, e che nel 1994 trionfarono per 4-0 nella finale di Champions ad Atene contro il Barcellona.

Zaccheroni e Weah portarono lo scudetto più imprevedibile, quello conquistato nel 1999 in rimonta sulla Lazio, mentre gli anni 2000 sono stati quelli di Carlo Ancelotti e di un Milan nuovo e vincente, che vide nascere una stella assoluta come il brasiliano Kakà.

In Italia, certo, ma soprattutto in Europa, con le vittorie di Manchester sulla Juventus (e il rigore decisivo di Shevchenko) e di Atene sul Liverpool, rivincita griffata Inzaghi della drammatica notte di Istanbul contro i Reds. Due successi resi ancora più speciali perché, dopo Cesare, fu il figlio Paolo ad alzare al cielo quei trofei, una tradizione di famiglia che potrebbe continuare con il giovane Daniel.

Filippo Inzaghi segna il secondo gol nella finale contro il Liverpool ad Atene nel 2007 ( Paul Ellis)

Nel 2011 l’ultimo scudetto con Allegri, prima delle intricate vicende societarie che hanno portato alla fine dell’era Berlusconi e a un nuovo inizio con il controverso Mister Li, prima dell’ingresso del fondo Elliott fino all’arrivo di Stefano Pioli in panchina, 61° allenatore rossonero.

Una lunga storia, 120 anni di miti, racconti, vittorie e sconfitte, cadute e risalite, una serie infinita di giocatori, allenatori e dirigenti entrati nella leggenda, una bacheca che mostra orgogliosa 18 scudetti, 7 Champions League, 5 Supercoppe europee, 7 Supercoppe italiane, 5 Coppe Italia, 2 Coppe delle Coppe, 3 Coppe Intercontinentali e un Mondiale per Club.

Per la festa dei 120 anni, prima della gara contro il Sassuolo del 15 dicembre (nell’occasione verrà indossata anche una maglia speciale e ai tifosi presenti allo stadio sarà regalata una sciarpa celebrativa) è stata organizzata una parata con alcuni dei personaggi che hanno fatto la storia del Milan: dai grandi allenatori (Sacchi, Capello, Allegri) ai capitani (Rivera, Baresi, Maldini), ma anche con i protagonisti di tante vittorie, come Altafini, Savicevic, Boban, Massaro, Inzaghi, Dida, Donadoni, Papin, Costacurta, Ambrosini, Albertini, Tassotti e tanti altri.

© Jamie McDonald

https://www.gqitalia.it/sport/article/milan-storia-personaggi-16-dicembre-1899

THE BISTROT DELLO SPORT OPENS AT CASA MILAN

The new venue for sports enthusiasts: from a partnership with Gruppo Ethos

Milan’s restaurant industry has a new venue for sports enthusiasts. It’s Casa Milan – Bistrot dello Sport: a bar, restaurant and pizzeria that has been created thanks to the partnership betweenCasa Milan and Gruppo Ethos at the Portello district.

The new management, entrusted to the Lombard company, opened the new structure on November 9, 2019, at the Rossoneri headquarters. After 30 years of business experience in the food branch, Gruppo Ethos is a well-established company throughout Lombardy and the “Bistrot dello Sport” is its third restaurant in Milan (after Grani & Braci and Karné).

We are delighted to start this business with an important partner like AC Milan – commented Beppe Scotti, CEO of the Group – Our company’s strengths are adaptability and efficiency, and the Rossonero Club chose us precisely for the expertise we have built over thirty years of business in the restaurant industry. There are not many companies in this sector that boast our longevity“.

The Group, with a turnover of €18,5m in 2018, is a sui generis case in the restaurant industry: it shares some features with the chain restaurant industry (the corporate organization) while creating a brand-new type of format given that each restaurant is characterized by different brands, furnishings and menus.

I am particularly happy with the partnership we established with Gruppo Ethos, a reference point for Milanese restaurants – said AC Milan’s Chief Revenue Officer Casper Stylsvig – Thanks to this agreement, born from the common passion for sport and good food, our headquarters are going to become more and more appealing for the Rossoneri fans and Milan’s citizens. I am sure that this link with Gruppo Ethos will be outstanding and it will also be appreciated by our future guests“.

This new opening also included Gruppo Ethos’ strong assets: quality based organic raw materials, a wide offer that meets the tastes of a mixed customer base, attention to customers’ dietary requirements. The “Bistrot dello Sport” also offers numerous services dedicated to business lunches during the week, to families and people with food intolerances and, this time, especially to sports enthusiasts.

LOCATION
The new “Bistrot dello Sport”, housed at Casa Milan, overlooks Piazza Gino Valle, one of the largest squares in the city included in the renewal of the Portello district and it offers a never-tasted version of the combination of food and sports: a place where customers can enjoy a modern and design environment and quality food.
The 17 monitors inside the restaurant celebrate AC Milan but are going to air also to the most important football matches of the Italian championship and the international cups. Football won’t be a monopoly; the “Bistrot dello Sport” is going to offer also the most important sporting events: cycling, rugby, volleyball, basketball, outdoor sports and winter specialties.

MENÙ
The Menu offers a journey through land and sea dishes, whose fil rouge is the contemporary cuisine, with Italian traditional recipes, such as pumpkin risotto and Porcini or cotoletta alla milanese, along with dishes with intriguing combinations, for example the Fassone Garronese beef tartare with hazelnut mayonnaise, olive oil powder and thyme bread croutons. The Bistrot also offers pizzas with two different pastries: sourdough starter and hemp flour besides the desserts that are almost like main courses: the great classics, such as tiramisù and more fanciful proposals like the green Bavarese with matcha green tea with hemp seeds crumble.
Gluten-free and children’s menus are also available.
The Bar opens at 8 am offering breakfasts with Torrefazione Libera® organic coffee, traditionally toasted by the master roaster of Gruppo Ethos, and croissants, single-serving desserts, fruit and vegetable centrifuges. During lunchtime, alongside the restaurant’s offer, customers may choose among sandwiches, piadina, and basmati rice and vegetable bowls. And talking about aperitifs, the Bar offers a cocktail with matching snacks (10 euros).
Casa Milan – Bistrot dello Sport is already offering its great location and its services for the organisation of corporate events: from traditional banqueting, to business meetings, up to original Team Building formats.

Casa Milan – Bistrot dello Sport
• 17 monitors to watch AC Milan’s matches and the main football and sporting events
• 80 seats at the bar
• 100 seats at the restaurant
• 1 privée
• 1 dehors overlooking Piazza Gino Valle
• 2 organic pastry for pizzas 
• Open: 7/7

Casa Milan Bistrot dello Sport
Via Aldo Rossi, 8 Milano
Tel. 02.62285616

Open: 7/7 Monday to Friday: Bar 8-20 | Restaurant 12-15
Saturday, Sundays and match days: Bar 9-20 | Restaurant 12-15 and 19-23

https://www.acmilan.com/en/news/casa-milan/2019-12-05/the-bistrot-dello-sport-opens-at-casa-milan