Magni: “Gigio vuol restare, ha rinunciato a tanti soldi per il Milan. Vi spiego la parata su Rugani”

Contro la Juventus era stato praticamente inoperoso per 77 minuti, poi Gianluigi Donnarumma ha deciso di vestire i panni di Superman e disinnescare con un riflesso mostruoso un colpo di testa di Rugani, impedendo allo juventino di segnare il 3-3. La redazione di MilanNews.it ha contattato Alfredo Magni, il primissimo allenatore di Gigio in rossonero. Con l’ex preparatore dei portieri di Brescia e Milan abbiamo parlato delle performance, della personalità e di quello che sarà il futuro del numero 99 del Diavolo.

Ci può spiegare tecnicamente la parata su Rugani?
Impressionante. Gigio ha una reattività incredibile nonostante la sua grande struttura fisica e capisco che possa impressionare chi non ha avuto il privilegio di vederlo quotidianamente per anni per la facilità con cui compie queste parate. Dal punto di vista tecnico, parlando con linguaggio specifico, posso dire che lui è stato bravissimo a non ‘aprirsi’ con il corpo (a tener fermo le spalle, ndr), a non allontanarsi per creare squilibrio con la gamba esterna e a fare una ‘first’ (una prima spinta, ndr) da paura. E una parata da compiere vicino al corpo, spesso. è anche più complicata da gestire rispetto ad effettuarne una quando ci si può distendere completamente, perchè quando il pallone è così a ridosso devi essere molto bravo a non aprirti. Se anche il colpo di testa di Rugani fosse stato più incrociato l’avrebbe comunque preso, perchè aveva puntato bene la gamba esterna e da lì non si è mosso ed è stato velocissimo ad andare giù. Una grande parata che si aggiunge ad una serie già lunga“.

La crescita di Gigio è stata continua in questi anni e nella sfida contro la Juventus ha fatto ciò che devono fare i portieri delle grandi squadre: salvare le rarissime conclusioni che arrivano verso la porta.
Sono d’accordo. Queste qualità si evidenziano con l’esperienza. Stiamo parlando di un ragazzo di 21 anni che ha già fatto oltre 200 partite. Gigio è stato precoce anche nell’apprendere come gestire con tranquillità le situazioni in porta. Non potrà che crescere con il tempo sia dal punto di vista tecnico che emozionale. A 16 anni appena compiuti giocò davanti a 90mila persone all’Allianz Arena: giocava con grande conoscenza, perchè erano situazioni provate quotidianamente in allenamento. E’ un processo normale di crescita il suo. Ciò che non è normale è che a 21 anni abbia già fatto ciò che ha fatto lui. E per la sfortuna di noi milanisti non ha ancora avuto la possibilità di giocare in Champions League, altrimenti staremmo parlando di un portiere ancora più grande. Sarà ricordata la vicenda di Gigio, ci renderemo conto tra molti anni di quello che sta succedendo con lui. Non è una cosa normale e nemmeno straordinaria, ma unica“.

C’è ancora qualcosa di Gigio che riesce a sorprenderla?
Non mi sorprende nulla, conoscendolo benissimo. Quello che la gente non ha ancora ben chiaro è che lui è un professionista con la testa sulle spalle, ma non solo. E’ un ragazzo serio e determinato, sensibile e buono. Quello che lui fa è frutto della sua dedizione, oltre che del suo immenso talento. Un ragazzo di 21 anni può anche essere distratto. Invece lui, da quando venne con me per la prima volta a 14 anni fino ad adesso ha mantenuto umità e spirito di sacrificio, che lo contraddistinguono. Niente gli sarà precluso se continuerà a mantenere questa mentalità. Spero che le cose per il Milan vadano benissimo in futuro, in modo che la squadra torni a giocare palcoscenici più prestigiosi e che lui possa mettersi in mostra anche lì“.

Le vicende dell’estate 2017 con il tira e molla sul rinnovo di contratto e le conseguenti critiche e contestazioni, hanno ulteriormente forgiato il carattere di Donnarumma?
Non credo. Lui è stato molto fortunato, perchè se non avesse avuto alle spalle una famiglia molto equilibrata alle spalle con grandissimi valori, a cui lui si è potuto aggrappare, non l’avrebbe superata tutta quella vicenda. In quel periodo in Italia in qualsiasi luogo non si parlava di altro che di Gigio. Senza tutto quel caos avrebbe probabilmente avuto delle performance migliori e avrebbe vissuto delle situazioni in maniera diversa. A livello personale, magari, quella situazione gli è servita per capire che non è detto che le persone si comportino allo stesso modo di come tu ti comporti con loroE poi c’è una cosa che non mi piace che viene rinfacciata spesso a Gigio“.

Ovvero?
Lui è un top player, che può sbagliare come tutti gli altri. Invece, quando sbaglia lui, gli viene sempre rinfacciato quanto guadagna. E questo mi dà enormemente fastidio“.

Tra un anno il contratto di Donnarumma scadrà e nel giro di giorni/settimane la questione rinnovo di contratto tornerà strettamente d’attualità: finirà con un prolungamento di contratto anche questa volta?
Gigio per il Milan ha rinunciato a tanti soldi e se il Milan lo metterà in condizione di poter rimanere, penso che la sua volontà di restare sia chiara. Poi, chiaramente, non dipende solamente da lui. Ha già fatto in passato scelte forti, però ci sono tante variabili. Se non penso che prima o poi Donnarumma deciderà di provare un’altra esperienza lontano dal Milan? Non lo so, perchè dipende da persona a persona. In passato ha avuto questa possibilità, ma ha preferito rinnovare con il Milan. Essendo anche cresciuto rispetto a tre anni fa, sicuramente lui adesso si sente più responsabile nei confronti della squadra che lui ama sin da bambino. E poi si trova bene, non solo al Milan, ma a Milano in generale“.

https://www.milannews.it/esclusive-mn/esclusiva-mn-magni-gigio-vuol-restare-ha-rinunciato-a-tanti-soldi-per-il-milan-vi-spiego-la-parata-su-rugani-377020

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OFFICIAL STATEMENT

AC Milan confirms that Paolo Maldini, the club’s Technical Director, became aware of contact with a person who subsequently tested positive for Coronavirus and began to display symptoms of the virus himself. He was administered with a swab test yesterday, the result of which was positive. His son Daniel, a forward in AC Milan’s youth team who had previously been training with the First Team, also tested positive.

Paolo and Daniel are both well and have already completed two weeks at home without contact with others. They will now remain in quarantine until clinically recovered, as per the medical protocols outlined by the health authorities.

https://www.acmilan.com/en/news/club/2020-03-21/official-statement

AC Milan NOTA UFFICIALE

AC Milan comunica che il Direttore dell’Area Tecnica del Club Paolo Maldini, venuto a conoscenza di aver avuto un contatto con una persona positiva e avendo in corso sintomi da virosi, è stato sottoposto ieri a tampone che è risultato positivo al Coronavirus. Allo stesso modo il figlio Daniel, attaccante della Primavera rossonera aggregato alla Prima Squadra.

Paolo e Daniel sono in buone condizioni e, dopo aver già trascorso oltre due settimane nella propria abitazione senza contatti esterni, come previsto dai protocolli medico-sanitari prolungheranno la quarantena per i tempi necessari alla completa guarigione clinica.

https://www.acmilan.com/it/news/club/2020-03-21/nota-ufficiale

Milan, la solitudine di Maldini, Pioli e dei tifosi – La Gazzetta dello Sport – Tutto il rosa della vita

Maldini, Pioli, i tifosi: quanta solitudine questo Milan

Paolo senza Boban deve decidere se restare o abbandonare. Solo è pure il tecnico, con l’ombra di Rangnick che si allunga sempre più su di lui. E soli sono i supporter rossoneri senza neppure più uno stadio dove sfogarsi

Massimo Oriani@massimooriani9 marzo – 11:56 – MILANO

Albert Einstein parlava di solitudine penosa in gioventù ma deliziosa negli anni della maturità. Paolo Maldini ne ha solamente 51, non è più un ragazzino ma nemmeno arrivato al punto da poterla apprezzare in quanto tale, specialmente se ti avvolge quando più avresti bisogno di una spalla, di qualcuno con cui condividere le pene. Come quell’1-2 col Genoa rimbombato ancor di più nella pancia di un San Siro vuoto e assordante al tempo stesso.

San Siro vuoto durante Milan-Genoa di ieri. Getty

San Siro vuoto durante Milan-Genoa di ieri. GettyCommenta per primo

Paolo è imperturbabile, capitano di mille battaglie, ma in campo sapeva sempre cosa fare. Comandava con la voce e con i gesti, con la testa e con i piedi. Era il faro che conduceva in porto il vascello rossonero, le tempeste gli facevano un baffo. Ora naviga in acque tempestose senza un primo ufficiale di coperta a bordo di quella che somiglia più a una scialuppa di salvataggio che a una portaerei. Domenica nel deserto del Meazza non c’era. Era a casa con la febbre, malanni di stagione, niente coronavirus, tranquilli. Ma anche se ci fosse stato, sarebbe stato dannatamente solo. Coi suoi pensieri, senza la spalla Boban, uno che come lui ha vissuto il campo, il Milan – quello vero non l’attuale brutta e sbiadita copia – che lo ama visceralmente, l’ha nell’anima prima ancora che nel cuore.

Maldini con Stefano Pioli. Lapresse

Maldini con Stefano Pioli. Lapresse

SCELTE

Eppure non voleva. Era stato restio, per tanto tempo. Aveva capito che tenersi alla larga dal “pasticciaccio brutto” alla cinese era cosa buona e giusta. Non era riuscito a tentarlo Silvio Berlusconi, non ci era riuscito Adriano Galliani. Poi ha ceduto all’attuale proprietà, conscio che servisse un milanista per non cancellare ogni ombra di quello che è stato, di un Impero caduto ma con potenziale per rialzarsi. Almeno così credeva. Invece si è ritrovato solo. Senza neppur essere l’unico. Una solitudine in compagnia, contraddizione in termini ma l’istantanea di questo Milan. Solo era Ivan Gazidis sulle tribune di San Siro, ad ascoltare le urla genoane, coltellate profonde a un progetto che non decolla, non può decollare in questo mare magnum di sconforto, confusione e mancanza d’unità d’intenti. In questo Milan delle due anime. Forse alla fine ne resterà una sola, basta sia quella giusta.

Stefano Pioli, 54 anni. Lapresse
SOLO

Solo. Eccola che riaffiora, prepotente e invadente, quella parola che ferisce. Solo è pure Stefano Pioli, condottiero senza scudo. Attorno a lui si è creato il vuoto. Ha perso Boban, potrebbe perdere Maldini, sulla sua testa aleggia il fantasma di Rangnick, se è vero – come sostiene lo stesso Zvone – che l’allenatore è stato ingaggiato sin da dicembre. Difficile trasmettere qualcosa ai tuoi ragazzi quando sai che il tuo progetto è un castello di carte che verrà abbattuto dal vento del Nord, in arrivo dalla Germania. Impensabile credere, ingenuo illudersi, che il Milan visto ieri a San Siro non sia il prodotto di quanto sta accadendo in via Aldo Rossi. Si può essere soli in mezzo alla folla. A contare non è il numero delle persone che ti stanno accanto ma quello di chi lo fa proteggendoti il fianco. Quello di Pioli oggi è scoperto e come in tutte le grandi battaglie della storia, è impossibile vincere quando non lo proteggi.

TIFOSI

Soli lo sono anche i tifosi del Milan. Nemmeno più il conforto delle lamentele da “milanès piangina”, quella condivisione del dolore che lo fa sembrare più sopportabile. Allo stadio non ci si può andare, al bar meglio di no, e se capita a un metro di distanza, quel che basta per farti sentire isolato ancor di più. Con chi te la prendi al gol di Pandev? E al raddoppio di Cassata, tutto fuorché dolce se hai il Diavolo nel cuore? Affiora la nostalgia per chi ha vissuto l’epopea del Grande Milan. Ma almeno può affogare la delusione nei ricordi. Chi ha meno di 25 anni soffre ancor di più, è ancora più solo perché nemmeno quel rifugio gli è dato. Soli. Eppure mai quanto Maldini. Che ora ha davanti due strade: la prima lo porterebbe lontano da questo deserto dell’anima ma anche da quella maglia che porta sulla pelle. L’altra rischia di essere un vicolo cieco, quantomeno oggi è un buio viale dove procedere a tentoni. Nella speranza di non cadere in qualche buca. Rialzarsi, da soli, non è mai facile.

https://www.gazzetta.it/Calcio/Serie-A/Milan/09-03-2020/maldini-pioli-tifosi-questo-milan-solitudine-3601571654880.shtml

Io, il Milan, la Fiorentina e un desiderio: “Chiederò la maglia a Ibra”

Patrick Cutrone sfida per la prima volta la squadra che lo ha fatto crescere e debuttare in serie A. È l’occasione per raccontarsi e spiegare perché pensa di aver già vissuto tre vite…

Fabrizio Salvio22 febbraio – 12:04 – MILANO

Patrick Cutrone, 22 anni, in Serie A ha giocato 63 partite con il Milan (13 gol) e 5 con la Fiorentina

L’incontro comincia sotto infausti presagi. Patrick Cutrone arriva all’appuntamento in ritardo, stanco e nervoso per il prolungarsi delle cure mediche a una caviglia malconcia. Fa in tempo a sedersi e la situazione peggiora: Andrea e Nicolò, gli amici del cuore venuti a Firenze per passare una settimana con lui, gli comunicano giulivi di aver dato da mangiare al cane Arno (sì, il nome è un omaggio al fiume che bagna la città) prima di uscire di casa. “Ma no, che avete fatto?! Aveva già mangiato, ha due mesi, deve fare pasti regolari se non diventa troppo grosso, anzi grasso!”. Ahia.Commenta per primo

Stai a vedere che oggi finisce male. Invece improvvisamente il centravanti arrivato a gennaio alla Fiorentina torna il ragazzo che tutti hanno sempre descritto: solare e alla mano. E proprio da qui, dalla presa di coscienza di sé, parte questa intervista.SERIE AFiorentina0-01°TMilan

Cosa è rimasto del Patrick di Parè, la frazione di Colverde, provincia di Como, dove è cresciuto?
“Tutto. È rimasto il Patrick sorridente, generoso, disponibile con tutti. In campo, lo stesso: sono quello di una volta, orgoglioso di giocare a calcio”.

Ha 22 anni appena. Si rende conto di aver già vissuto tre vite? Milan, Inghilterra, il ritorno in Italia. Quando guarda i suoi amici e coetanei, invidia la loro spensieratezza di studenti o dice: rispetto a voi sono già uomo?
“Io mi ritengo molto fortunato: faccio la cosa – non riesco a chiamarlo lavoro – che amo di più al mondo. Uno può pensare alla noia degli alberghi e dei ritiri, ma anche questo è il bello del calcio. Io ne sono innamorato pazzo”.

Rimpianti? Avrebbe potuto studiare e divertirsi di più e meglio?
“Studiare, ho studiato. Ho preso il diploma allo Scientifico. I miei hanno battuto molto sulla necessità che avessi un pezzo di carta in mano. Al momento pensi “che palle”, poi capisci che hanno ragione. Non è bello far vedere che non hai una cultura, non sei in grado di dire due parole insieme”.

Oggi ha tempo e voglia di leggere un libro?
“Sono sincero: adesso ne sto leggendo uno. Me l’ha regalato la mamma della mia ragazza. Si intitola Momenti di trascurabile felicità, parla di quel che ti può capitare nell’arco di una giornata e metterti di buon umore, rasserenarti, e tu neanche te ne accorgi. Mi sta prendendo”.

Ricorda il suo primo pallone?
“Sì. In realtà me lo ricorda mia nonna, che mi portava al parco a giocare. Mi racconta che quella palla era più grande di me, ma che io non avevo paura di calciarla”.

E le prime partite?
“Nel giardino di casa di Andrea, alle sue feste di compleanno. Il padre aveva piazzato una porticina ed erano tornei infiniti, due contro due”.

E come esultava, allora, quando faceva gol?
“Un po’ sfottevo Andrea, che giocava contro. Più avanti, nella squadra dell’oratorio, mi facevo abbracciare da tutti i compagni oppure correvo intorno al campo”.

Chi è stato il suo idolo calcistico?
“Non ne avevo uno in particolare. Mi piaceva un sacco Van Persie, fenomenale. Poi Drogba, Inzaghi… Di Van Basten ho visto i video, perché me ne hanno parlato tanto”.

A 8 anni arriva al Milan dopo un provino all’Inter in cui segnò otto gol. Ha mai saputo perché i nerazzurri non la presero?
“Quel giorno eravamo tantissimi. Alla fine mi dissero ‘Ti richiameremo sicuramente’, invece non seppi più nulla. Poi feci un provino al Monza, e quella soluzione mi stava bene. Ma quando arrivò la chiamata del Milan non ci pensai un attimo. Al provino segnai quattro gol: bastarono per essere preso. In realtà mi avevano già preso”.

Chi è stato il suo primo allenatore in rossonero?
“Roberto Lo Russo. Sono più legato a Luigi Rampoldi, che mi ha scoperto e portato al Milan. Lo sento ancora. Ha una certa età, gli voglio un sacco di bene e, più che parlare di me, voglio sapere di lui”.

A chi altri deve dire grazie nel calcio?
“Tutti gli allenatori che ho avuto mi hanno aiutato a crescere, in qualsiasi modo lo abbiano fatto. Walter De Vecchi e Italo Galbiati sono stati molto importanti. Al primo anno di Milan De Vecchi mi diceva: ‘Per calciare meglio la palla, devi posizionarti in maniera diversa col corpo. Fai come ti dico e vedrai che sarà tutto diverso’. Tempo due mesi e colpivo il pallone come mai prima”.

Com’è andata davvero con Rino Gattuso, che l’ha allenata in prima squadra?
“È stato un bel rapporto. Siamo due persone vere, che si dicono le cose in faccia. Una volta, a Bologna, mi sostituì e borbottai: il giorno dopo gli chiesi scusa. L’ultimo periodo mi fece giocare di meno, ma non mi va di parlarne. Ha dimostrato di tenerci a me, in allenamento mi stava dietro, mi diceva dove migliorare. Su questo non posso dir niente”.

Esordio in A il 21 maggio 2017: se chiude gli occhi qual è la prima cosa che le viene in mente?
“Era l’ultima in casa di campionato, contro il Bologna. Lo stadio era pienissimo. Era da un po’ che aspettavo di esordire. Sul 2-0 ho iniziato a sperare, ma mister Montella non mi faceva scaldare. Quando mancava poco alla fine mi disse: “Vai, preparati”. Mi sono emozionato un sacco. Non vedevo l’ora di entrare e spaccare il mondo. Iniziai a correre su e giù lungo la linea laterale, avrò fatto 6 chilometri in dieci secondi. Entrai che mancava pochissimo alla fine, ma bastò per rendere quei momenti indimenticabili: giocavo finalmente nello stadio dei miei sogni, con tutta quella gente che mi guardava”.

Stasera, per la prima volta da quando lo ha lasciato, giocherà contro il suo Milan: cosa vuol dire?
“Forse è meglio che succeda a Firenze, piuttosto che a San Siro. È una squadra cui tengo ancora tantissimo. Sarà bello incontrare i miei vecchi compagni e i tifosi, che mi hanno sempre fatto sentire il loro affetto”.

Perché, secondo lei? Solo perché è cresciuto con la maglia del Milan addosso?

“Io penso che i tifosi rappresentino una gran parte del calcio. Senza di loro sarebbe tutto meno bello. Perciò ho sempre cercato di dar tutto quello che avevo: per la maglia e per loro che ti sostengono”.

A fine partita chiederà la maglia a Ibra?
“Sarebbe bello. È Ibra, non c’è bisogno di dire altro”.

Perché ha detto sì alla Fiorentina?
“È una squadra che mi ha sempre affascinato per la sua storia, per i campioni come Batistuta che ci sono passati, per la sua tifoseria appassionata”.

Cos’ha Vlahovic più di lei e che cosa ha lei più di lui?
“Secondo me ci completiamo. Io attacco di più lo spazio, lui viene più incontro. Mi piacerebbe giocarci insieme”.

Cosa si porta dietro dall’Inghilterra?
“Sono cresciuto a livello umano e professionale. Ho conosciuto una nuova cultura, nuovi usi, ho migliorato di parecchio il mio inglese, che adesso parlo discretamente. A livello calcistico ho imparato un nuovo modo di giocare, con ritmi di gioco diversi, più intensi, dove si attacca molto di più, senza paura di allungarsi. In Premier non si indietreggia, si avanza”.

Perché al Wolverhampton non è andata bene?
“Molti dicono che non mi sia ambientato. Falso. La verità è che l’allenatore, Espirito Santo, aveva il suo gruppetto di fedelissimi, quelli con cui era stato promosso, dal quale non derogava. Era fissato sui suoi undici, e gli altri non li vedeva; non soltanto me, tutti. Ho giocato tre partite da titolare e segnato due gol, ma non era cambiato niente. A quel punto son voluto andare via”.

Il suo autoritratto di calciatore.
“Impegno. Dedizione. Fiuto del gol”.

Un difetto che ti riconosci e che sta lavorando per eliminare? Gattuso diceva che deve proteggere di più la palla.
(sorrisino) “Ma io credo di saperlo fare… Poi certe volte è dovuto anche al fatto… Non so come spiegare”.

Ci provi.
(sembra cercare le parole giuste, dall’esterno gli consigliano di non fare polemiche, la risposta che segue è perciò politicamente corretta) “Ho qualche lacuna, che posso colmare con la personalità e il lavoro”.

Il suo autoritratto di uomo.
“Vero. Generoso. Testardo” (gli amici presenti: “E permaloso”).

È permaloso?
“Quando perdo e mi prendono in giro. Impazzisco”.

Ha detto una volta: papà mi sopporta. Quando diventa insopportabile?
“Dopo una sconfitta, appunto. Lui capisce, e lascia passare un’oretta prima di chiamarmi. Poi usa le parole giuste per calmarmi”.

Qual è la cosa detta sul suo conto che più la fa incazzare?
“Quando dicono che sono solo uno da area di rigore”.

Un altro difetto che si riconosce?
“Mi arrabbio troppo con me stesso”.

In cosa è testardo?
“Sulle mie decisioni. Quando ne prendo una, non cambio mai idea”.

E se poi si accorge di aver sbagliato, è capace di chiedere scusa?
“Sì. Anche a me stesso”.

Come le piace spendere i suoi soldi?
“In vacanze al mare. Ne ricordo una a Dubai: spettacolare. E poi gli orologi: ne ho soltanto due, ma preziosi”.

Metta in fila i tre centravanti più forti del mondo…
“Lewandosvski. È il più forte per la tranquillità, la naturalezza con cui fa le cose. Higuain: gioca di squadra, facilità di smarcamento, di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Infine Lautaro: ci assomigliamo un po’ per determinazione e spirito di sacrificio. E poi c’è Ibra, ma lui è fuori categoria. Lui sa e può far tutto”.

Cutrone, cos’è il gol per lei?
“Una dipendenza. Perciò spero di farne tanti”.

https://www.gazzetta.it/Calcio/Serie-A/Fiorentina/21-02-2020/io-milan-fiorentina-desiderio-chiedero-maglia-ibra-3601125064430.shtml

Gioielleria Milan: Maldini jr, bomber Colombo, il gigante Jungdal, ecco i Giunti boys

Federico Giunti, 48 anni. Lapresse

I rossoneri promossi in Prima Divisione dopo un campionato dominato: tutti i nomi da tenere d’occhio per il futuro

Marco Calabresi22 febbraio – 18:40 – MILANO

Che il Milan, con la Primavera, volesse subito tornare nella categoria che le compete, si era capito già dal mercato estivo. In rossonero sono arrivati due attaccanti come il brasiliano Luan Capanni (ex Lazio, che con Inzaghi aveva già esordito in Serie A) e l’ex Catania Emanuele Pecorino. Tra campionato e Coppa Italia hanno segnato 17 gol in due (nove Pecorino, otto Capanni), ma nessuno dei due era in campo dal 1′ nella partita contro la Spal.Commenta per primo

In panchina, invece, è rimasto Federico Giunti: tornato al settore giovanile dopo essere arrivato fino alla Serie B (Perugia), lo scorso anno da subentrato all’esonerato Alessandro Lupi non era riuscito a evitare la retrocessione alla fine di una stagione disgraziata, ma è rimasto in sella e ha riportato il Milan nella Serie A della Primavera.SERIE AFiorentina22/0220:45Milan

Daniel Maldini ha esordito in serie A nei minuti finali contro il Verona. Ansa

Daniel Maldini ha esordito in serie A nei minuti finali contro il Verona. Ansa

CONFERME

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In attacco, nel Milan che ha battuto 3-1 la Spal conquistando aritmeticamente la promozione con quattro giornate di anticipo, c’erano Giacomo Olzer, Riccardo Tonin e Lorenzo Colombo, tutti già nel settore giovanile rossonero. Proprio Colombo, che già nel 2018 fece parte sotto età della spedizione della Nazionale Under 17 all’Europeo, è stato il “nuovo acquisto” delle ultime settimane: cinque gol nelle ultime quattro partite dopo la frattura al piede. E’ nato a Vimercate, Colombo; gli altri due, invece, arrivano da nord-est. Da Rovereto Olzer, dalla provincia di Vicenza (nato ad Arzignano, cresciuto a Brogliano) Tonin.

ASSENTI PRESENTI

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Diciassette gol in due li hanno segnati anche Daniel Maldini e Marco Brescianini, che non erano al Vismara a festeggiare con i compagni. Cause di squadra maggiore: Stefano Pioli li ha convocati per la trasferta di Firenze e uno, il figlio d’arte, ha pure già esordito in Serie A contro il Verona e – dopo Milan-Juve di Coppa Italia – ha regalato anche la sua maglia al collezionista Gigi Buffon. Brescianini, invece, è nato a Calcinate (nello stesso paese di Belotti), e ha da pochi mesi rinnovato il suo contratto fino al 2024, un anno in più rispetto all’accordo con Alessandro Sala, altro centrocampista da seguire. Brescianini è un classe 2000, gioca in Primavera da fuoriquota e si pensava potesse già andare in prestito in B a gennaio: alla fine è rimasto a Milanello, il viaggio si farà la prossima stagione. A proposito di fuoriquota, è anche il Milan di Emanuele Torrasi, il più grande di tutti: è nato nel 1999, ma la fortuna gli ha voltato le spalle, con una serie di infortuni che il centrocampista ha superato.

Matteo Soncin, classe 2001. Lapresse

Matteo Soncin, classe 2001. Lapresse

PORTIERE

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E chissà cosa ne sarà di Matteo Soncin, portiere 2001 che per talento segue le orme di Gigio Donnarumma e Alessandro Plizzari, anche se la struttura fisica non è la stessa. La sua porta, grazie anche alla difesa guidata da Tommaso Merletti, è ovviamente quella meno battuta di tutto il campionato Primavera: soli 13 gol subiti, neanche l’Atalanta campione d’Italia in Primavera 1 sa fare meglio. Con Soncin si è alternato il danese Jungdal, alto quasi due metri e preso dal Vejle: oggi è diventato maggiorenne, per lui festa doppia.

COPPA ITALIA

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Il Milan, in questa stagione, una partita l’ha persa, in Coppa Italia al Franchi contro la Fiorentina. Aveva superato tre turni, e tutti in trasferta, eliminando Sampdoria, Spezia e il Torino che lo scorso anno era arrivato fino alla finale. A vincere il trofeo erano stati i viola, anche quest’anno arrivati all’atto decisivo: affronteranno il Verona, che è nel girone del Milan in campionato, e a cui i rossoneri il 9 novembre hanno fatto cinque gol.

https://www.gazzetta.it/Calcio/Serie-A/Milan/22-02-2020/milan-primavera-anticipo-maldini-jr-gioiellino-colombo-tutti-ragazzi-giunti-3601153569842.shtml

Milan, esordio in Serie A per Matteo Gabbia: “La dedico ai miei nonni, sono abbonati”

 
Matteo Gabbia non dimenticherà mai Milan-Torino, e l’esordio in Serie A. Il giovane difensore ha una dedica speciale per questa serata memorabile: “È il coronamento di un sogno, ringrazio tutti i miei compagni e lo staff. Mi faceva molto piacere dedicare questa partita ai miei nonni che hanno l’abbonamento a Milanello, sono molto felici”
MILANCALCIO 18 FEBBRAIO 2020 0:13 di Marco Beltrami

Una serata che Matteo Gabbia non dimenticherà mai. Il classe 1999 ha fatto il suo esordio in Serie A in Milan-Torino, dopo aver collezionato i primi minuti in rossonero in Coppa Italia. Pioli lo ha gettato nella mischia dopo l’infortunio di Kjaer, e alla luce del rifiuto di entrare di Musacchio per un presunto problema al polpaccio. Buona prestazione del giovane talento che nel post-partita ha dedicato la sua prima uscita campionato ai nonni

Milan, esordio per Matteo Gabbia in Serie A contro il Torino
Nel post-partita Matteo Gabbia ha raccontato le sue emozioni ai microfoni di Sky Sport. Sorriso smagliante per il giovane difensore che ha collezionato un tempo, partecipando al successo della formazione rossonera. Questa la sua dedica nell’immediato post-partita: “È il coronamento di un sogno, ringrazio tutti i miei compagni e lo staff. Mi faceva molto piacere dedicare questa partita ai miei nonni che hanno l’abbonamento a Milanello, sono molto felici”.

Gabbia ha parlato così delle emozioni dell’esordio in Serie A con il Milan: “Cosa ho pensato al momento del cambio con Kjaer? Ho pensato che finalmente fosse arrivata un’occasione, ero tranquillo e non ero preoccupato perché avevo lavorato bene tutti questi mesi. E una volta che entri in campo quello che fai dipende da te, ringrazio anche Romagnoli che mi ha aiutato. Ibra mi ha fatto i complimenti, non è di tante parole ma le sue valgono tanto”.

La crescita di Gabbia e la voglia di giocare titolare
Una battuta sulla sua crescita e sulla possibilità di conquistare una maglia da titolare in futuro nel Milan: “Cerco di rubare il massimo da Romagnoli, da Musacchio e da Kjaer: sono più grandi di me, hanno più esperienza e da loro posso imparare. Poi guardando al passato ho visto giocatori come Maldini, Nesta e Thiago Silva, cerco di rubare qualcosina anche a loro. Vediamo, c’è la settimana e ci saranno le decisioni del mister. Speriamo di affrontare altre notti così, con i piedi per terra”.

continua su: https://www.fanpage.it/sport/calcio/milan-esordio-in-serie-a-per-matteo-gabbia-la-dedico-ai-miei-nonni-sono-abbonati/

L’importanza di chiamarsi Maldini: tutte le grandi dinastie del calcio mondiale

Con il debutto di Daniel hanno giocato in serie A tre generazioni diverse: un record condiviso con i Cudicini. E all’estero…

Giuseppe Pastore@gippu13 febbraio – 10:23 – MILANO

Cesare non aveva potuto assistere dal vivo al debutto di Paolino. Il suo ruolo di vice-ct della Nazionale, un passo dietro Enzo Bearzot, lo costrinse a restare a casa per guardare Inter-Atalanta a San Siro, in una Milano asserragliata nella morsa del gelo.Commenta per primo

Ma il gennaio del 1985 era destinato a passare alla storia anche per la prima delle 902 partite da professionista di Paolo Maldini, di cui il papà ebbe notizia ascoltando “Tutto il calcio minuto per minuto”: stava guidando su Viale Caprilli e pensò bene di accostare, per evitare pericolosi sbandamenti dovuti all’emozione. Trentacinque inverni dopo Paolo è stato testimone oculare dalla tribuna autorità del battesimo del fuoco di Daniel, gettato nella mischia da Pioli nei minuti di recupero di Milan-Verona. È riuscito a toccare un solo pallone, di testa, su un corner battuto male, ma i suoi tre minuti sono passati alla storia del calcio italiano: è la prima volta che un giocatore italiano veste gli stessi colori di suo padre e di suo nonno.

I MALDINI

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Breve ripasso di storia per i più giovani: Cesare Maldini ha indossato il rossonero per 412 partite dal 1954 al 1966, diventando il 22 maggio 1963 a Wembley il primo calciatore italiano ad alzare da capitano una Coppa dei Campioni, dopo il 2-1 al Benfica. Paolo è riuscito a superarlo in presenze e vittorie, diventando – con 26 trofei – il calciatore italiano più vincente di tutti i tempi: quando ha smesso il Milan ha ritirato la maglia numero 3, onore toccato in passato solo alla 6 di Franco Baresi. Per il 18enne Daniel non sarà facile essere all’altezza del papà e del nonno: ma da qualche parte bisogna pur iniziare, e lui ha iniziato con due minuti nella bagarre di valore inestimabile. La prima presenza ufficiale segue l’ampio minutaggio concessogli in estate da Marco Giampaolo nell’International Champions Cup; la sua Primavera, dopo la balorda retrocessione dell’anno scorso, sta dominando la seconda divisione anche grazie ai suoi sei gol e quattro assist in nove partite. Per il momento ha scelto un umile 98, sognando magari di spolverare quel numero di maglia custodito in una teca dall’estate 2009.

Fabio Cudicini e Carlo Cudicini.

Fabio Cudicini e Carlo Cudicini.

I CUDICINI

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I Maldini sono la seconda famiglia italiana a vantare tre generazioni con almeno una presenza in serie A. I primi, anche loro fortemente legati al rossonero, sono stati i Cudicini. Nonno Guglielmo giocò otto partite in serie A con la Triestina dal 1929 al 1934, le ultime cinque in compagnia di Nereo Rocco, futuro allenatore di suo figlio Fabio. Leggerino ma tecnico, soprannominato “il ballerino”, Guglielmo era un terzino che per la sua qualità fu a volte sfruttato anche in attacco. Morì nel 2007 nella sua Trieste, il giorno dopo il suo 104° compleanno. Fabio, altissimo (1 metro e 91) per l’epoca, ribattezzato “il Ragno Nero” per la tinta unita della sua divisa di gioco che richiamava il grande Jascin, giocò a lungo con Udinese, Roma e Brescia ma si lasciò gli anni più belli per il finale, approdando al Milan già ultra-trentenne: uno scudetto, una Coppa Campioni vinta grazie alle sue prodezze in semifinale a Manchester, una romanzesca Intercontinentale vinta in Argentina e una coppa Italia vinta nel 1972 all’ultima partita in carriera. Carlo invece conobbe il rossonero già da adolescente, debuttando addirittura in Champions League negli ultimi minuti di un Porto-Milan del 1993 per sostituire Sebastiano Rossi, ma non gli riuscì mai di esordire in serie A. L’unica presenza in campionato con la maglia della Lazio, da terzo portiere della stagione 1996-97, ebbe connotati eroici degni dei due antenati: subentrato al 4’ per sostituire l’espulso Marchegiani, nel finale si ruppe il crociato anteriore del ginocchio destro in uno scontro con Bisoli ma rimase stoicamente in campo perché Zeman ha finito i cambi e i portieri. Purtroppo la sua stagione finì lì, come la sua esperienza biancoceleste: trovò più fortuna in una lunga e brillante esperienza in Premier League con Chelsea e Tottenham.

Da sinistra: Marquitos, Marcos Alonso Pena e Marcos Alonso Mendoza.

Da sinistra: Marquitos, Marcos Alonso Pena e Marcos Alonso Mendoza.

GLI ALONSO

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E all’estero? Le tre generazioni di Alonso non hanno una maglia in comune come i Maldini, ma hanno comunque scritto pagine importanti sia in Spagna che nel resto d’Europa. Iniziamo dal capostipite Marquitos (all’anagrafe Marcos Alonso Imaz), otto anni da difensore centrale nel Real Madrid dal 1954 al 1962, con quattro finali di Coppa Campioni disputate e anche un gol nella prima, contro il Reims nel 1956. Suo figlio Marcos Alonso Pena si è notevolmente discostato dalla tradizione paterna, vestendo le maglie delle arci-rivali Barcellona e Atletico Madrid: il suo unico assalto alla “Orejona” (come chiamano in Spagna la coppa dalle grandi orecchie) finì nella tragedia sportiva del 7 maggio 1986, quando a Siviglia il Barça si fece ipnotizzare dalla Steaua Bucarest e in particolare dal suo baffuto portiere Duckadam che parò quattro rigori su quattro, l’ultimo dei quali proprio ad Alonso. Suo figlio Marcos Alonso Mendoza ha invece seguito le orme del nonno, anche se ha all’attivo una sola presenza ufficiale con la prima squadra del Real Madrid: lo ricordiamo meglio a Firenze, poderoso terzino sinistro dal 2014 al 2016, mentre adesso gioca da quattro stagioni al Chelsea.

Da sinistra: Tomas Balcazar, il "Chicharo" Hernandez e il "Chicharito" Hernandez.

Da sinistra: Tomas Balcazar, il “Chicharo” Hernandez e il “Chicharito” Hernandez.

GLI HERNANDEZ

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Caso più unico che raro è quello della famiglia Hernandez che ha mandato tre generazioni ai Mondiali con la casacca del Messico. L’ultimo e anche il più famoso è il “Chicharito” Javier Hernandez, ex Real Madrid e Manchester United, presente a Sudafrica 2010, Brasile 2014 e Russia 2018. Ha segnato almeno un gol in ogni edizione e deve il soprannome a suo padre Javier Hernandez Gutierrez, detto “chicharo” (pisello) per gli occhi verdi, numero 19 del “Tricolor” ai Mondiali casalinghi del 1986 ma mai impiegato neanche per un minuto. Il nonno materno era invece Tomas Balcazar, che nel Mondiale 1954 mise insieme due presenze e un gol contro la Francia – la stessa squadra a cui suo nipote avrebbe fatto gol nel 2010.

Da sinistra: Francisco Gento, Paco Llorente e Marcos Llorente.

Da sinistra: Francisco Gento, Paco Llorente e Marcos Llorente.

I LLORENTE

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Non c’è nulla di paragonabile alla dinastia Llorente, che vanta ben cinque giocatori diversi nell’album di famiglia del Real Madrid: l’ultimo è stato il centrocampista Marcos, addirittura in gol nella finale del Mondiale per Club 2018 contro l’Al-Ain (oggi gioca nell’Atletico Madrid). Suo padre è Paco Llorente, sette anni nel Real di fine anni Ottanta, quello della “Quinta del Buitre” che vinse campionati a ripetizione ma mai la Coppa dei Campioni, incassando una formidabile ripassata a San Siro dal Milan di Sacchi nella notte del 5-0, in cui aveva indossato la maglia numero 11 senza lasciare traccia. I tifosi madridisti ricordano con più affetto una sua grande partita a Porto, quando aiutò il Real a ribaltare il risultato e qualificarsi ai quarti entrando dalla panchina e servendo due assist a Michel. Ma Paco (che aveva un fratello, Julio, da oltre 400 partite in Primera Division e due stagioni al Real dal 1988 al 1990) altri non è che il nipote di Francisco Gento, fuoriclasse all’altezza del Grande Real di Puskas e Di Stefano che si aggiudicò le prime cinque edizioni della Coppa dei Campioni dal 1956 al 1960. E, a complicare ulteriormente le cose come in una telenovela spagnola, aggiungiamoci anche il quinto parente acquisito: Paco Llorente è infatti il genero di Ramon Grosso, attaccante per dodici stagioni alle dipendenze di Santiago Bernabeu, dal 1964 al 1976, con sette “scudetti” e una Coppa dei Campioni. Se la stirpe proseguirà, vi terremo aggiornati.

https://www.gazzetta.it/Calcio/Serie-A/Milan/03-02-2020/importanza-chiamarsi-maldini-tutte-grandi-dinastie-calcio-mondiale-360631600953.shtml

Albertini “richiama” Baggio, “Robi, hai perso un’occasione” – La Gazzetta dello Sport

L’ex rossonero, presidente del Club Italia, scriva una lettera aperta all’ex campione che si è dimesso dalla guida del Settore Tecnico: “Tutti dobbiamo garantire la nostra presenza per far parte del cambiamento”
— Read on www.gazzetta.it/Calcio/24-01-2013/albertini-richiama-baggio-robi-hai-perso-occasione-913973785680.shtml

Lo strappo di Baggio, “La Figc ha scordato il progetto” – La Gazzetta dello Sport

Lo strappo di Baggio
“La Figc ha scordato il progetto”

Milano, 17 ottobre 2012

Il presidente del Settore Tecnico federale accusa: “Sono un po’ deluso, attendo ancora una risposta dal dicembre dello scorso anno”.
Il caso, a volte, mostra di avere senso dell’umorismo. Lui che è sempre stato un numero uno, stavolta arriva per ultimo e si siede in ultima fila. Quando viene notato, però, sono tante le persone che si voltano e lo indicano con un cenno del capo. Nessuna sorpresa. Roberto Baggio è una fetta di storia del calcio che s’incarna all’improvviso nei saloni di Palazzo Marino, la sede del comune di Milano, per essere in qualche modo anche lui protagonista nella cerimonia di benvenuto che il sindaco Pisapia e la Figc ha organizzato per la delegazione danese guidata dal presidente federale Hansen.

Roberto Baggio con il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, a Palazzo Marino. Omnimilano
PROGETTO E DELUSIONE — A rito concluso, l’ex Pallone d’Oro, accompagnato dal suo amico e manager Vittorio Petrone, non fa dribbling a nessuno, spendendo parole e sorrisi per tutti, da Abete a Galliani passando per un compagno di cento partite come Albertini. Ma Baggio non è solo un’icona calcistica da venerare. Dall’agosto del 2010, dopo il flop del Mondiale sudafricano, è stato infatti nominato presidente del Settore Tecnico della Federcalcio perché aiutasse quella ricostruzione di cui si sentiva fortemente bisogno. Ma il silenzio che è sceso intorno a lui ha fatto venire cattivi pensieri, che lo stesso Baggio spiega così. “A dicembre dello scorso anno abbiamo consegnato alla Figc il progetto su cui stavo lavorando, ovvero la formazione dei formatori. Alla luce della mia esperienza nel calcio, infatti, ho capito che la filiera che parte dal vertice e arriva alla cura dei giovani del nostro calcio, non poteva prescindere da un discorso sulla modernizzazione del settore tecnico. Ma sono passati dieci mesi e sono ancora in attesa di una risposta. E non nascondo di essere anche un po’ deluso”.

CARTEGGIO — Si capisce subito che solo la diplomazia gli impedisce di dire di più. “I fondi sono stati stanziati, ma finora è stata fatta solo un’iniziativa in Toscana, gratuita e riuscita molto bene, a cui hanno partecipato diversi club come Pisa e Pontedera. Poi più nulla. Veti politici? Non lo so, non voglio entrare in merito. Stavolta, però, i club non c’entrano nulla”. Istruzioni per l’uso. La delusione di Baggio non coglierà di sorpresa la Figc, perché sembra che il presidente del settore abbia già mandato due lettere in via Allegri sull’argomento. E i sussurri federali raccontano come abbia ricevuto anche delle risposte abbastanza piccate, che forse fanno presagire baruffa per l’immediato futuro.

L’ITALIA CRESCE — Baggio però non preme ulteriormente l’acceleratore, preferendo virare sulla Nazionale. “È una squadra che sta migliorando. Sta facendo esperimenti, ma può crescere in fretta. I talenti d’altronde non mancano. Le polemiche? Purtroppo quelle, insieme alle pressioni, ci saranno sempre, ma per cacciarle via il migliore modo è sempre lo stesso: fare risultati”. Quando si arriva ai saluti, ci dà appuntamento a San Siro per il match serale spendendo anche una parola sul campionato. “Juventus e Napoli finora hanno dimostrato di avere qualcosa in più”. Baggio sorride. Intanto uno degli uscieri di Palazzo Marino che gli porge il giaccone gli sussurra trepido: “La ringrazio per tutte le emozioni che mi ha regalato”. Gli occhi del vecchio ragazzo per un attimo si illuminano. Le malinconie federali, forse, adesso pesano un po’ meno.

— Read on www.gazzetta.it/Calcio/16-10-2012/strappo-baggio-la-figc-ha-scordato-progetto-912928996849.shtml

“I used to practise shooting against my Grannies!”Patrick Cutrone reveals unorthodox upbringing

  • Patrick Cutrone joined Wolves from AC Milan for £16million in the summer 
  • The Italian came through the ranks at Milan but was told he was not wanted
  • He has scored two goals in 17 appearances in all competitions for his new club  

By TOM COLLOMOSSE FOR THE DAILY MAIL

PUBLISHED: 22:31 GMT, 5 November 2019 | UPDATED: 22:56 GMT, 5 November 2019

Patrick Cutrone had an unusual way of honing the skills that made him a first-team regular for AC Milan by the age of 19.

His family home was in the village of Parè, close to Lake Como and 25 miles from Milan. There, the five-year-old Patrick — nicknamed ‘Pokemon‘ by his older brother Christopher because he enjoyed the card games of the Japanese cartoon series — would deploy one of his grandmothers, Mafalda and Giuseppina, as a goalkeeper in the living room as they waited for his parents to return from work.

‘I was always at home with my grandmothers when I was little and they liked to play football,’ smiles Cutrone, in his first major interview since his £16million move from Milan to Wolves

Wolves forward Patrick Cutrone reflected on the summer that turned his life upside down
Wolves forward Patrick Cutrone reflected on the summer that turned his life upside down

‘I would take shots and they would save them. My parents would get angry with me because I would break the odd vase during these games — but my grandmothers were good goalkeepers!’

Speaking at Wolves’ training base, Cutrone is reflecting on the summer that turned his life upside down.

The 21-year-old had joined Milan, the team he supported, at seven, and progressed rapidly to make his competitive debut when he was 18. Premier League clubs showed interest when he was 16 but there was no reason to accept it. Cutrone was young and his career path appeared clear.

Suddenly, he was told he was not wanted. Milan had an offer from Wolves and to give them a more competitive transfer budget they accepted.

Cutrone grew up in the village of Pare, close to Lake Como and 25 miles from Milan
Cutrone grew up in the village of Pare, close to Lake Como and 25 miles from Milan
The forward came through the ranks at AC Milan but was suddenly told he was not wanted
The forward came through the ranks at AC Milan but was suddenly told he was not wanted

‘At a certain point they put me in a position where I said, “OK, I have to leave”,’ he explained. ‘Now I don’t know how to explain what happened, but after I’d spoken to the club I took this decision.

‘I was aware of Wolves’ interest and I chose them straight away. In life, you have to make decisions. I was in that situation, which was disappointing because I had a great connection with my team-mates at Milan and the fans really loved me. It was nice to receive messages from supporters, team-mates, as it meant I had left something positive behind. I knew a bit about Wolves and I’d always had a little dream about playing in England.

‘It’s my first experience away from home. Before now, I’d always been close to home, close to the training ground, so there was a period of adaptation, which is normal. I was always attracted by the idea of playing abroad and I was excited to try something new. I’m happy.

‘But I’ve left the place I grew up in, far from my parents, my friends, my brother, my grandparents, my girlfriend, so there is a bit of disappointment. They’re still close to me, even though I’m in another country. We have a wonderful connection and find time to see each other at weekends or during international breaks.’

Cutrone admits it was tough to leave his friends, family and girlfriend in another country
Cutrone admits it was tough to leave his friends, family and girlfriend in another country

Until that summer meeting with the Milan hierarchy, his life had been all Milan — training sessions after school, idolising the stars of the past.

‘I had posters of former Italy strikers Filippo Inzaghi and Marco Borriello. I watched YouTube videos of Marco van Basten and George Weah. I remember the 2007 Champions League final win over Liverpool, but not so much Istanbul 2005 — thankfully. I’ll always be a Milanista.

‘Since coming to Wolves, I’ve seen videos of Steve Bull, of what he did at Wolves and Italia 90. It would be great to meet him.’

Living in an area containing many Milan fans, Cutrone was a local hero. A cafe even renamed his favourite ice-cream flavour — cream and nutella — the ‘Cutrone ice-cream’. At 19, he scored the winner against Inter Milan, a 1-0 victory in the Italian Cup in December 2017. ‘I didn’t sleep for days after that,’ he remembers.

The 21-year-old is nothing but enthusiastic about his future with his new club in the Midlands
The 21-year-old is nothing but enthusiastic about his future with his new club in the Midlands

For all the positive words — and Cutrone is nothing but enthusiastic about his new club — it is important to remember the upheaval in his life. The forward is so close to his parents, that until the summer he was still living under the same roof as them.

His affection is represented by a tattoo on each arm, one showing his immediate family on the shores of Lake Como, the other depicting his grandparents. The family have attended some games — his father saw the 1-1 draw with Southampton.

Perhaps it is no surprise, then, that Cutrone is still finding his way in English football. Two goals in 17 appearances — one in the 5-2 home defeat by Chelsea on September 14 and the other in the EFL Cup defeat by Aston Villa last week — means he still has work to do to convince coach Nuno Espirito Santo to change his first-choice attacking partnership of Raul Jimenez and Diogo Jota.

‘I’m calm about it,’ Cutrone insists. ‘I’ve always scored goals in my career. We’ve shown with recent results what a good team we are and that we can compete with anyone. I’m starting to settle here and I feel loved by the fans and my team-mates. Goals will come.’

Cutrone is still finding his feet, scoring two goals in 17 appearances in all competitions so far
Cutrone is still finding his feet, scoring two goals in 17 appearances in all competitions so far

https://www.dailymail.co.uk/sport/football/article-7653337/I-used-practice-shooting-against-Grannies-Patrick-Cutrone-reveals-unorthodox-upbringing.html

L’addio a Sergio Mascheroni Milan e Crotone ai funerali

Veniano, L’abbraccio di Paolo Maldini e di Nelson Dida alla famiglia del preparatore atletico morto in montagna

Tanta gente oggi pomeriggio ai funerali di Sergio Mascheroni, il preparatore atletico del Crotone calcio ( e prima ancora di Milan e Foggia) morto mercoledì dopo una caduta in montagna.

L’addio a Sergio Mascheroni  Milan e Crotone ai funerali

Veniano , Serginho con il padre di Sergio Mascheroni

Veniano , Serginho con il padre di Sergio Mascheroni 
(Foto by Andrea Butti)

Alla cerimonia erano presenti tanti amici di Albavilla, il paese originario della famiglia e di Veniano, soprattutto tanti giocatori: la squadra del Crotone al completo arrivata con un volo charter messo a disposizione dalla società.

Veniano  Jens Lehmann

Veniano Jens Lehmann 
(Foto by Andrea Butti)

Folta la rappresentanza del Milan a partire da Paolo Maldini e il portierone Dida con i colleghi Jens Lehmann e Valerio Fiori oltre al difensore brasiliano Sergignho. Con loro, tra gli altri, anche Giovanni Stroppa , Daniele Tognacchini (storico preparatore atletico del Milan).

https://www.laprovinciadicomo.it/stories/Erba/laddio-a-sergio-mascheroni-milan-e-crotone-ai-funerali_1323719_11/

Gattuso ricorda il ‘suo’ Milan: “Champions 2007? Vinta in ritiro a Malta, tra freddo e vino”

L’allenatore del Milan Gennaro Gattuso ha ricordato alcuni dei suoi successi da calciatore, svelando simpatici retroscena

Anche Gennaro Gattuso è intervenuto durante l’incontro di presentazione del libro “Da Calciopoli ai Pink Floyd” di Alberto Costa concentrandosi soprattutto sul passato da giocatore del Milan“Galliani e Berlusconi pagavano buoni premi, ho preso tante di quelle multe da 1 milione-1 milione e mezzo, con tutti i danni che ho fatto. Poi meno male che vincevamo trofei e tutto passava in secondo piano. La rissa Ibra-Onyewu? Ci allenammo al campo 6, si sono acchiappati e pesavano 100kg l’uno: ho preso due schiaffi, e alla fine ho detto “ammazzatevi”. Ambrosini neanche si avvicinò, io da eroe mi sono avvicinato e ho provato a fermarli anche con un calcio, sono andato via poi. Nessuno poteva fermarli, si son sfogati. A Ibra poi è passata subito, non gli piace portare rancore: ad avercene di giocatori come lui”.

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L’allenatore dei rossoneri continua: “La salvezza del Milan in questi anni è stata il rispetto delle regole, poche volte Galliani è intervenuto: eravamo noi a rispettare la storia, c’era grande mentalità. Oggi si fa più fatica, la mentalità dei giocatori è cambiata: il primo giorno in cui sono andato a Milanello e mi sono fatto la barba ho lasciato due peli sul lavandino e Costacurta mi diede uno schiaffo in testa, dicendomi di pulire. Facevo fatica a parlare la stessa lingua che ho parlato l’ultimo anno in cui ho giocato in rossonero, per questo andai via: ora viviamo un’epoca diversa rispetto al passato. Si può tornare come prima, ma non bisogna dimenticare che i tempi son cambiati: è normale che se un allenatore crede fortemente in ciò che fanno i ragazzi, con passione e voglia, debba avere la fortuna di avere giocatori che facciano questo”.

Gattuso non riesce a trattenere i ricordi che riaffiorano nella sua mente: “Una volta si sentiva solo musica italiana negli spogliatoi: ora se metti musica italiana in spogliatoio ridono, va di moda l’hip-hop. Se metti Pupo(tutti ridono). Oggi tutti i giocatori guardano partite che giocano in campionati esteri e ascoltano la musica con le cuffie. Poi se metti regolamenti si lamentano, cercano alibi e pensano alle loro abitudini: ognuno ora pensa al suo orticello, alle cose che gli piace fare. Io sono arrivato nel ‘99 e la tecnologia non era arrivata ai livelli di oggi, la musica si ascoltava il giusto. Da allenatore è una cosa che non concepisco quella di ascoltare la musica prima delle partite, ma l’ho accettato ora e mi sono aperto per non essere un disadattato. Era meglio sentire Pupo che quella schifezza di musica hip-hop che non si capisce niente”, prosegue l’allenatore rossonero.

Poi un aneddoto che fa capire quanto quel Milan fosse compatto in tutti i suoi componenti: Nel 2007 vivevamo un periodaccio e la società ci mandò a Malta  per il ritiro: faceva un freddo cane, eravamo tutti incazzati con Galliani. Dopo essere tornati a Milano, ci tornammo. Quell’anno vincemmo poi la Champions: stavamo fino alle 5 di mattina in 10-14 tra noi, bevendo un bicchiere di vino. Queste cose ci hanno rafforzato, oggi i giocatori mangiano, si alzano e vanno via. Ho giocato con tantissimi campioni, ma per essere tale devi essere coerente, non saltare un allenamento: Maldini per non saltare un allenamento prendeva 1-2 aulin al giorno, per me è il più forte con cui abbia mai giocato. Se all’epoca si diceva che non si dovevano vincere i giornali, così i giornali non si leggevano”.

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E dopo aver parlato a lungo degli altri, la conclusione è tutta dedicata a sé stesso: “Nella vita ho sempre pensato di diventare il più forte nel mio ruolo, l’incontrista: ho cercato di migliorarmi, avevo qualità. Così scarso tecnicamente non ero, ma sapevo quale fosse il mio lavoro e quali fossero i miei limiti. Questo mettevo a disposizione”, ha concluso Gattuso.

https://gianlucadimarzio.com/it/dichiarazioni-gattuso-milan-ricordi

MOTHER’S SON Lucas Hernandez: The Bayern Munich club record signing’s dad walked on his family for another woman when the defender was a toddler

The £68m defender was raised by single mum Py Laurence after his dad, former footballer Jean-Francois Hernandez, left his mother for a Spanish TV star when he was 5

  • 2 Apr 2019, 7:00
  • Updated: 2 Apr 2019, 9:33

HE’S most certainly his mother’s son, despite his father’s footballing pedigree.

Last week, Lucas Hernandez, 23, continued his rapid rise in the game – signing for Bayern Munich for a club record fee of £68m.

 Lucas Hernandez became Bayern Munich's club record signing last week in a £68m deal
Lucas Hernandez became Bayern Munich’s club record signing last week in a £68m deal

It’s capped a wonderful eight months for the defender, who lifted the World Cup last summer with France.

But behind his success lies a tragic story, fraught with a determination to be the best.

When Lucas was just five years old, dad Jean-Francois Hernandez left him, his mum Py Laurence and younger brother Theo for Spanish TV star Sonia Moldes.

Both Jean-Francois’s sons would go on to play professionally, Theo is currently starring at Real Sociedad, on loan from Real Madrid.

However, their achievements have absolutely nothing to do with him.

The life of dad, Jean-Francois Hernandez

The 6ft 3in defender’s career began at Toulouse, followed by a short spell at Sochaux, before signing for a disgraced Marseille side who were relegated to Ligue 2 after the 1993 bribery scandal that rocked French football.

Jean-Francois helped OM gain promotion in 1996, but in truth was a bit-part player, and mostly found himself playing fourth division football with the reserves.

In 1998, at the age of 30, he moved to Spain with Compostella for a new challenge.

They were relegated from La Liga in his first season, and he soon signed for Rayo Vallecano, another club who yo-yoed between the top league and the Segunda Division.

 His father Jean-Francois Hernandez was also a professional footballer
His father Jean-Francois Hernandez was also a professional footballerCredit: PA:Empics Sport
 However, Jean-Francois Hernandez ditched his family for Spanish TV beauty Sonia Moldes
However, Jean-Francois Hernandez ditched his family for Spanish TV beauty Sonia Moldes
 Jean-Francois left Lucas Hernandez's mum Py Laurence to raise his children
Jean-Francois left Lucas Hernandez’s mum Py Laurence to raise his children

Then came a season at Atletico Madrid from 2000-01, who had been relegated and were looking for seasoned Segunda Division pro to aid their plight.

He shared a dressing room with a young Fernando Torres for a year, before he was shipped back to Rayo.

Jean-Francois retired in 2002 at the age of 33 after his priorities changed and he met another woman.

He dropped his family, left their home and shacked up with stunning actress Moldes soon after.

They got married months later, enjoying a romantic honeymoon in Thailand and he was never to be seen again.

Mum Py Laurence took on the strain of raising two boys on her own

With the bread-winner of the family gone, Py was left on her own with Lucas and Theo.

Initially it pained her to see her two young boys kicking a football around, a reminder of the husband who had scorned her’s livelihood.

But she supported their talent, knowing full well they dreamed of playing professionally.

Lucas joined the youth set-up of CF Rayo Majadahonda, a local team 20 minutes west of Madrid, and Theo came onboard a year later.

 Py Laurence took on the mantle of single mum, making sure Lucas and Theo Hernandez got what they wanted
Py Laurence took on the mantle of single mum, making sure Lucas and Theo Hernandez got what they wantedCredit: Libre Uso
 Lucas, left, and Theo, right, were driven to training daily by mum Py Laurence when they were small boys
Lucas, left, and Theo, right, were driven to training daily by mum Py Laurence when they were small boys
 Lucas Hernandez played youth football at CF Rayo Majadahonda
Lucas Hernandez played youth football at CF Rayo Majadahonda
 As a young boy, Lucas dreamed of becoming a professional footballer
As a young boy, Lucas dreamed of becoming a professional footballer

Despite her financials straits, Py drove her sons to training EVERY single day.

Recognising the boys were unique, CF Rayo Majadahonda gave them both scholarships.

Through their teens, Lucas and Theo excelled – coaches told their mother that her boys could go far in football, because they had the skill and ability to reach the top.

Lucas moves to Atletico Madrid in 2007

When he was just 11, Lucas joined Atletico Madrid’s youth set-up.

He earned the nickname ‘Jefazo’ from his coaches and teammates, which translates to ‘Big Boss.’

Tall and strong in the tackle, his attributes stood out among the rest.

Young Lucas was also blessed with incredible anticipation, able to read the game well before the play was made.

His character – fierce, determined and a born winner made him stand out on the pitch furthermore.

In 2014, Diego Simeone included the then 17-year-old in his first team squad for a match against Villarreal.

 With a steely determination and ability to anticipate an opposition's attacks, he rose through the Atletico Madrid ranks
With a steely determination and ability to anticipate an opposition’s attacks, he rose through the Atletico Madrid ranks
 Lucas soon became an important first team player for Simeone's men
Lucas soon became an important first team player for Simeone’s menCredit: Getty Images – Getty
 While younger brother Theo is establishing himself at left back for Real Sociedad
While younger brother Theo is establishing himself at left back for Real SociedadCredit: Getty Images – Getty

A year later, Hernandez was promoted from the second string, where he established himself as a mainstay alongside the likes of seasoned campaigner Diego Godin and Jose Gimenez.

Now he’s a dad, Lucas understands the role mother Py played even more

Last year, Lucas became a father to a son called Martin.

In a heart-wrenching interview with La Parisien, he made it clear that he would not repeat the same mistake his father made and paid credit to his mum.

“I owe everything to her, she’s the one who brought us up, who took my brother and I to football, who worked I don’t know how many hours to feed us,” he said. “What I am is thanks to her.”

Lucas also confirmed that he and Theo haven’t spoken to their father for around 13 years.

“We’ve not heard from our father for 12 or 13 years, not even after winning the World Cup.

I owe everything to her, she’s the one who brought us up, who took my brother and I to football, who worked I don’t know how many hours to feed us.”Lucas Hernandez On Mum Py Laurence

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“Now that I’m a father, I’m even more aware of what he’s done, that he has failed in his father’s role.

“What I can’t imagine is giving up my son, I would never do it, and even if I have to sleep under a bridge for my son’s happiness, I will.”

It’s clear to see that Bayern are investing in a talent with the right morals.

 Now a father himself to son Martin, Lucas Hernandez is adamant he won't make the same mistakes as his dad
Now a father himself to son Martin, Lucas Hernandez is adamant he won’t make the same mistakes as his dad
 Lucas Hernandez admitted he and his brother Theo owe their football careers to their mum
Lucas Hernandez admitted he and his brother Theo owe their football careers to their mumCredit: Libre Uso
 Last summer, Lucas celebrated winning the World Cup with France
Last summer, Lucas celebrated winning the World Cup with FranceCredit: Getty – Contributor
 But Lucas, his brother Theo and mum Py haven't heard from dad Jean-Francois for 13 years
But Lucas, his brother Theo and mum Py haven’t heard from dad Jean-Francois for 13 yearsCredit: Libre Uso

https://www.thesun.co.uk/sport/football/8746040/lucas-hernandez-bayern-munich-dad/