Maldini amaro: «Che brutto il silenzio del Milan»

IL CAPITANO ROSSONERO CONTESTATO DAGLI ULTRÀ

Maldini amaro: «Che brutto il silenzio del Milan»

«La società non si è ancora dissociata, pensavo che un suo atto pubblico fosse dovuto»

Paolo Maldini, quello che è accaduto domenica, in occa­sione del suo addio a San Si­ro, è davvero stupefacente.
«In effetti. Uno pensa di ave­re visto tutto e invece…».

Amareggiato? 
«È stata una domenica sur­reale. Così bella all’inizio, con lo stadio pieno. Davvero stu­pendo. Poi però c’è stata quel­la bravata di 100-200 persone che non va sopravvalutata ma che non deve neppure passare sotto silenzio. Io ho sbagliato, ho offeso i contestatori con un gesto istintivo e tante parolac­ce. Me ne assumo la responsa­bilità. Però l’ho fatto per reagi­re contro una cosa organizza­ta, preparata e pensata senza che io potessi rispondere. Pur­troppo, questo è il calcio in Ita­lia ».

Lei non ha un grande fee­ling con gli ultrà.
«È vero. Non ho mai cercato un rapporto con loro ma non l’ho fatto per snobismo. È che ho sempre puntato sulle mie forze, cercando di meritarmi tutto sul campo: il rispetto dei miei tifosi e quello del mondo del calcio. Per il cognome che porto mi sono sempre dovuto fare un mazzo così. Nessuno mi ha mai regalato niente».

Perché invece tanti calcia­tori hanno rapporti privile­giati con le curve?
«Ti avvicini a loro perché ti senti più protetto. Ti fanno i cori a favore, ti fanno gli stri­scioni. Ma sa qual è stata la persona che ha rafforzato le mie convinzioni? Franco Bare­si. Mi ripeteva: fai tutto in cam­po, non cercare aiuti esterni. Ero capitano da 6 mesi e già mi contestavano: Maldini non sei degno di essere capitano».

Ma cos’è successo esatta­mente tra lei e gli ultrà?
«Da quello che alcuni di lo­ro sono andati a dire in tv, io gli avrei dato dei pezzenti ma una parola del genere non ap­partiene al mio vocabolario. In tutti questi anni ci sono stati soltanto due motivi di frizio­ne. Nel 2005, di ritorno dalla fi­nale di Istanbul, all’aeroporto mi si avvicina uno di vent’an­ni e mi dice: ci dovete chiede­re scusa. Cosa? Io gioco da vent’anni e devo chiedere scu­sa a un ragazzino dopo una fi­nale perduta ma dominata sul piano dello spettacolo? Ma sia­mo matti?».

L’altro episodio? 
«Supercoppa europea di Montecarlo contro il Siviglia, nel 2007. In curva stavano tut­ti zitti, volevano picchiare chi provava a tifare. Non so cosa li spingesse a non tifare, se que­stioni economiche o di potere. Allora io, in un’intervista, dis­si: la squadra non è contenta, San Siro per il Milan è uno sta­dio magico ma sta perdendo la sua magia. Giancarlo, uno dei capi, dice che l’ho chiama­to per chiedere scusa ma non è vero: non ho neppure il suo numero di telefono. Abbiamo chiarito tutto un giorno: li ho incontrati per strada, è stato un confronto pacato».

Dopo quello che è succes­so non sarebbe il caso di un nuovo chiarimento?
«Io sono a posto così. Non devo chiarire niente con nessu­no ». 

Accetterebbe delle scuse? 
«Per carità. Le scuse non le voglio». 

Quali sono i messaggi di solidarietà che le hanno fatto più piacere?
«Esclusi quelli provenienti dal mio ambiente e dalla mia famiglia, e già facciamo un centinaio di persone, ne potrei citare tanti. Platini, che mi ha mandato una lettera bellissi­ma prima della partita; Frey, che mi ha detto che la festa me la fa lui domenica; De Biasi, un allenatore che conosco poco; Ciro Ferrara, che avrà avuto an­che i cavoli suoi; Fiorello, che è pure interista. E poi Stefano Borgonovo, Meneghin, Panca­ro, Javier Zanetti, Serena, Al­bertini… Comunque c’è un pa­radosso…». 

E quale sarebbe? 
«Lo striscione affettuoso che mi ha dedicato la curva dell’Inter nell’ultimo derby e quello di domenica della cur­va del Milan».

Ma è vero che ha litigato con Leonardo?
«Ridicolo. Lui mi ha detto in un orecchio di lasciare per­dere e io gli ho risposto che non ci pensavo nemmeno, che un uomo deve essere un uo­mo fino in fondo. Quando ci è stato riferito che secondo alcu­ni avremmo litigato, ci siamo messi a ridere».

Paolo, c’è ancora amarezza dentro di lei?
«Devo dire che, pur essen­do passate più di 48 ore da quell’episodio, la società non ha ancora preso posizione. Il Milan avrebbe anche potuto dissociarsi e invece non l’ha fatto».

Chi sarebbe dovuto interve­nire? Berlusconi? Galliani?
«Il presidente l’ho visto un minuto… Galliani gira con la scorta… Bastava un dirigente qualsiasi. Pensavo che una pre­sa di posizione pubblica fosse dovuta».

Alberto Costa 
27 maggio 2009

https://www.corriere.it/sport/09_maggio_27/costa_maldini_milan_db102c82-4a86-11de-90df-00144f02aabc.shtml